Secondo il nuovo report della ONG Global Witness, il 90% degli attivisti subisce molestie online, di cui il 62% su Facebook. Scopri le cause, la risposta di Meta e perché non è sufficiente!
Recentemente, la ONG britannica Global Witness ha pubblicato un report sugli attivisti ambientali, da cui emerge che il 90% ha subito molestie online, soprattutto sui social. Tra questi, inoltre, Facebook è quello più tossico per gli attivisti ambientali, seguito da X, WhatsApp e Instagram.
Le molestie online sono pericolose soprattutto perché possono sfociare in comportamenti violenti offline e perché diffondono disinformazione, e nel caso degli attivisti ambientali sono spesso una strategia mirata di gruppi politici o lobby economiche per screditare il loro lavoro.
Purtroppo, nel 2024 Meta ha sospeso la moderazione dei contenuti, per cui ormai tutta la responsabilità ricade sulla vittima, la disinformazione dilaga e l’ideale del free speech si converte sempre di più in un ambiente di free hate speech, ovvero di spazi liberi per discorsi d’odio, troll e molestie.
In questo post parliamo delle molestie online subite dagli attivisti ambientali, dei nuovi dati su Meta e altre piattaforme, di moderazione dei contenuti e norme europee e di come le donne continuano a essere più esposte e a rischio online, anche nel caso dell’attivismo ambientale.
In questo articolo:
- Il nuovo report di Global Witness
- Le molestie subite dagli attivisti sui social
- Il caso di Fatrisia Ain in Indonesia
- Chi molesta gli attivisti online?
- La risposta di Meta
- Perché la strategia di Meta è criminale e violenta?
- Il caso europeo
Buona lettura!
Il nuovo report di Global Witness sulle molestie online degli attivisti ambientali
Global Witness è una ONG fondata nel 1993 nel Regno Unito che indaga sugli abusi ambientali e dei diritti umani. Oltre al proprio report annuale sugli omicidi di attivisti ambientali nel mondo, quest’anno ha pubblicato un report sulle molestie che subiscono online (in inglese), in particolare sui social network, per cui ha intervistato oltre 200 attivisti ambientali di tutto il mondo.
I dati parlano chiaro:
- Il 90% ha subito molestie online
- Il 75% ha avuto anche conseguenze nel mondo fisico
- Le piattaforme più tossiche sono Facebook (62%), X (37%), WhatsApp (36%) e Instagram (26%)
Sono le piattaforme più utilizzate al mondo, quindi sono anche il primo canale di comunicazione degli attivisti ambientali, la cui missione è innanzitutto denunciare gli abusi e farli conoscere al grande pubblico.
Come si vede, il problema è che la piazza dei social fa da cassa di risonanza non solo alle notizie degli attivisti, ma anche ai discorsi d’odio, agli abusi e alle fake news che vengono pubblicate sul loro conto.
Il problema riguarda soprattutto le piattaforme di Meta, che nel 2024 ha interrotto il programma di moderazione dei contenuti, abbandonando gli utenti al proprio destino. Meta continua a legittimare la propria scelta dicendo che in questo modo promuove la completa libertà di espressione (stessa narrativa utilizzata da Elon Musk per il social X, ex Twitter).
Le molestie online e offline: il caso di Fatrisia Ain
Fatrisia Ain è un’ambientalista che lotta contro gli abusi dell’industria dell’olio di palma in Indonesia, che contamina l’ambiente, espropria le terre ai contadini e impoverisce la terra e la popolazione.
Su Facebook, Fatrisia è stata accusata di essere comunista, di frodare i contadini locali e di avere relazioni extraconiugali. Fatrisia ha segnalato il caso a Meta – e a Global Witness – che però ha risposto dicendo che poteva usare gli strumenti di Facebook contro le molestie, ovvero basicamente dei filtri per non vedere i commenti di odio.
Fatrisia ha ribattuto dicendo che non è sufficiente, perché le accuse mosse contro di lei online rimangono visibili, screditano il suo lavoro, disinformano le persone e la espongono a violenza fisica offline e anche problemi legali (in Indonesia le donne non hanno molti diritti e il red-tagging, ovvero le accuse di affiliazione a organizzazioni comuniste – può essere punito perfino con il carcere).
Il risultato? Durante le ultime manifestazioni Fatrisia è stata aggredita sessualmente e ha dovuto cominciare a esporsi in pubblico solo quando può essere circondata da altre donne più anziane.
Come si vede, le donne pagano un conto ancora più salato per essere attiviste e manifestare online e offline.
Chi attacca online gli attivisti ambientali
I discorsi di odio e le molestie online, soprattutto sui social, sono un complesso mix di fattori: si va dalle risposte rabbiose e ignoranti di altri utenti fino ai troll e ai profili che cercano di rovinare la reputazione online delle vittime.
Vediamo perché gli attacchi online sono così diffusi nel mondo dell’attivismo ambientale:
- Interessi economici: la maggior parte delle molestie online proviene da profili associati o creati direttamente dai gruppi economici e dalle lobby che vogliono silenziare gli attivisti, come le aziende che guadagnano con la produzione dell’olio di palma, nel caso dell’attivista indonesiana di cui abbiamo appena parlato.
- Bot e account falsi: sui social esistono migliaia e migliaia di profili falsi e automatizzati, utilizzati per diffondere disinformazione, spam e fake news. Questi account vengono usati da criminali e gruppi politici per orientare l’opinione pubblica, soprattutto in periodi critici come le elezioni.
- Attacchi politici: in alcuni paesi, un attacco online può avere ripercussioni legali, come le accuse di comunismo e infedeltà in Indonesia, per cui rispondono a un’ulteriore strategia di silenziamento o eliminazione dell’attivista.
- Algoritmi: infine, gli algoritmi dei social premiano i contenuti polarizzanti, cioè con visioni estreme che tendono a dividere il pubblico in fazioni opposte, intensificando le opinioni esistenti e semplificandole.
Per tutti questi motivi, il discorso pubblico sui social dovrebbe essere moderato con più livelli, e fino a qualche tempo fa anche Meta aveva un complesso sistema di moderazione dei contenuti, che però ha eliminato nel 2024, adducendo come motivo l’idea di voler creare un social con una libertà di parola completa.
In realtà, molti esperti pensano che la decisione di Meta sia solo finanziaria, dato che la moderazione di contenuti è cara e complicata da gestire.
La risposta di Meta e i suoi limiti
Meta ha risposto ai dati pubblicati da Global Witness e alle richieste di Fatrisia Ain e altre attiviste dicendo che gli utenti hanno a disposizione due strumenti: le hidden words e i limits, rispettivamente i filtri per le parole offensive e la limitazione dei commenti da parte di sconosciuti.
Ecco perché non bastano:
Spostano il peso sulla vittima
La responsabilità dei crimini deve ricadere sui criminali, non sulla vittima adducendo che non si è difesa bene. Questo meccanismo psicologico è simile alla criminalizzazione delle donne che subiscono violenza sessuale, i cui aggressori, in alcuni casi, sono stati scagionati perché il tribunale ha considerato che le vittime non volevano difendersi, erano consenzienti o avevano istigato l’aggressore.
Non rimuovono la disinformazione pericolosa
I pericoli non sono solo per la vittima diretta, ma anche per il grande pubblico. Con le impostazioni attuali, un messaggio completamente inventato e offensivo su un’attivista ha lo stesso valore e diritto di essere pubblicato che un messaggio educato, etico e basato su dati.
Questo significa che i social diventano una pericolosa cassa di risonanza per idee estremiste (complici gli algoritmi polarizzanti), discorsi offensivi, disinformazione e propaganda non dichiarata.
Non influiscono sull’algoritmo
Parlando di tecnologia, gli strumenti di Meta non hanno alcun impatto sugli algoritmi e i sistemi di AI dei suoi social, per cui, anche se segnali un contenuto come falso o offensivo, questo continuerà a essere promosso dall’algoritmo.
Il comportamento di Meta è in linea con quello di altri social come X e delle idee politiche dei tecno bro come Elon Musk, che credono – o fingono di credere – nell’autoregolazione dei social network e nella libertà di espressione senza limiti.
Una cosa è certa, scaricando la responsabilità sulla vittima Meta si è tolta un grosso peso sia economico che morale: ora non deve più spendere milioni di dollari per moderare i contenuti e se succede qualcosa di brutto, Meta se ne lava le mani perché dice di aver dato agli utenti gli strumenti necessari per difendersi.
Per fortuna, come vedremo a breve, almeno in Europa siamo coperti da leggi più severe in materia di molestie online e obblighi per le grandi piattaforme di internet.
Il quadro europeo: il ruolo del DSA
Non tutti lo sanno, ma nel 2024 nell’UE è entrato in vigore il Digital Services Act (DSA), che obbliga le grandi piattaforme online come Meta a rispettare gli utenti. Tra le varie cose, richiede la creazione di misure efficaci per la protezione, sistemi di moderazione ed eliminazione dei contenuti offensivi e pericolosi, la difesa dei minori e trasparenza sull’uso di algoritmi e modelli di AI.
Moderazione carente e conseguenze concrete
In teoria, almeno in Europa, Meta non potrà ignorare a lungo il problema, e prima o poi dovrà ricominciare a integrare un sistema più efficace per la moderazione dei contenuti, altrimenti rischia multe fino al 6% del fatturato annuale.
In pratica, però, l’applicazione è lenta e gli abusi continuano, a scapito di tutti gli utenti e, in particolare, di quelli più esposti come le donne.
Insomma, ancora una volta stiamo assistendo a un utilizzo dei social media che non ha nulla a che vedere con il benessere, l’utilità o il divertimento delle persone. I social sono il megafono per eccellenza degli attivisti ambientali, ma purtroppo sono anche un altro campo di battaglia, in cui devono difendersi da attacchi che possono sfociare anche in conseguenze legali o violenze fisiche, e questo discorso vale soprattutto per le donne.
La nostra opinione è che la moderazione dei contenuti sia necessaria e meriti più attenzione di quanta ne riceve attualmente, soprattutto alla luce dei dati sulle molestie online (pensate al cyberbullismo negli adolescenti).
La sicurezza online andrebbe considerata alla stregua della sicurezza fisica e offline, e quindi anche protetta e regolamentata di conseguenza, con pene più severe per i criminali e, soprattutto, con requisiti più stringenti ed esaustivi per le aziende, in primis per le grandi piattaforme come quelle di Meta.
E tu, hai mai avuto qualche episodio spiacevole sui social? Cosa ne pensi della moderazione dei contenuti sulle grandi piattaforme online? Faccelo sapere nei commenti!
CONTINUA A LEGGERE: Il fact checking sui social funziona davvero?
Buona navigazione e buona comunicazione sicura sui social!