Cosa succede se separi Google e Meta? Poco, se non cambi le regole. In questo articolo, partendo dal processo antitrust USA contro Google e Meta, spieghiamo i limiti dell’antitrust, i rischi per la sicurezza informatica e 3 mosse pratiche per proteggerti.

A Washington D.C., dentro le mura dell’E. Barrett Prettyman Courthouse, si sta giocando una partita che potrebbe riscrivere le regole di internet come lo conosciamo. Da una parte ci sono due giganti: Google e Meta. Dall’altra, il governo degli Stati Uniti e le sue autorità antitrust, decise a limitare un potere che negli ultimi vent’anni è cresciuto senza freni.

In aula si discute di monopoli digitali, fusioni contestate, browser da separare e contratti esclusivi da spezzare. Una battaglia legale che sembra riaprire una stagione di controlli dopo anni di mano libera concessa alle Big Tech, tra acquisizioni miliardarie e dati personali raccolti in ogni angolo del web.

Ma davvero possiamo cambiare internet con una sentenza? Quanto sono efficaci le misure e le multe dell’antitrust? Ne parliamo in questo articolo un po’ polemico sull’ultimo processo contro Google e Meta.

In questo post:

  • Il nuovo processo degli USA contro Google e Meta
  • I limiti dell’antitrust
  • Perché è così difficile limitare le Big Tech
  • L’esempio del monopolio dei browser
  • Rischi di sicurezza legati ai monopoli tecnologici
  • Soluzioni e alternative
  • 3 cose da fare subito per sfuggire ai monopoli digitali

Buona lettura!

Nuovo processo USA contro Google e Meta e la missione dell’antitrust

L’idea di fondo è semplice: se un’azienda diventa così grande da controllare interi mercati, e creare quello che di fatto è quasi un monopolio, deve esserci un arbitro pronto a farle abbassare la cresta.

Questo è lo scopo principale dell’antitrust: proteggere la concorrenza, evitare che un colosso chiuda la porta in faccia a chi prova a innovare ed entrare nel mercato (come vedremo, le conseguenze negative sono anche a livello di sicurezza informatica).

Negli USA questo principio non è nuovo: alla fine degli anni ‘90 il Dipartimento di Giustizia portò Microsoft in tribunale per aver usato Windows come strumento per spingere Internet Explorer, soffocando i rivali.

Oggi la storia si ripete con Google e Meta, con le seguenti proposte:

  • Limitare i contratti esclusivi che rendono Google il motore di ricerca predefinito praticamente ovunque.
  • Spezzare il legame tra le piattaforme di Meta, come Instagram e WhatsApp, acquisite anni fa quando nessuno immaginava quanto potere avrebbero generato.

L’obiettivo di queste azioni è riaprire spazi di mercato, dare una chance a nuovi concorrenti e garantire una scelta più ampia agli utenti. Ma la domanda che tutti si fanno, anche a causa dei risultati ottenuti in passato, è questa: serve davvero?

Come ha detto Margrethe Vestager, commissaria UE alla concorrenza, “Le multe non bastano, bisogna impedirgli di operare in un certo modo”. Le multe miliardarie non hanno mai fermato le Big Tech; di fatto, per chi genera profitti immensi ogni trimestre, sono solo un’altra voce a bilancio.

Ecco perché molti esperti concordano su un punto importante: l’antitrust serve, ma spesso arriva troppo tardi, ovvero quando i monopoli sono già consolidati e si sono trasformati in infrastrutture di cui non possiamo più fare a meno.

La dipendenza degli utenti è parte del problema

Il problema strutturale degli oligopoli tecnologici è che l’utente finale non riesce a svincolarsi e provare alternative, per vari motivi:

  • I competitor non hanno le risorse del monopolista, quindi i loro prodotti non sono così ottimizzati.
  • I concorrenti non hanno le risorse finanziarie da investire in pubblicità per strappare quote di mercato.
  • L’essere umano cerca di risparmiare energie, soprattutto in ambito tecnologico, per cui soccombe all’inerzia e ha perfino timore di provare nuovi strumenti.
  • I software e i servizi online delle Big Tech sono molto curati, efficienti e perfino divertenti.
  • Le Big Tech creano meccanismi di interdipendenza che consolidano ulteriormente i loro ecosistemi di app e servizi, come il sistema di SSO (Single sign-on) di Facebook e Google o l’integrazione di più strumenti e piattaforme, come Google Pay e Maps.

Insomma, alla fine si crea il cosiddetto effetto lock-in: l’utente rimane intrappolato nell’universo Google o Meta (o Apple, Microsoft e così via) e cambiare abitudini diventa sempre più difficile e meno interessante.

Esempio: il monopolio dei browser

Nella causa di fine anni ’90 contro Microsoft, l’autorità antitrust degli USA aveva sancito che la multinazionale di Bill Gates aveva usato indebitamente la sua posizione di mercato e, in concreto, il sistema operativo Windows per monopolizzare il mercato dei browser con Internet Explorer (e a pagarne era stata innanzitutto Netscape).

Andiamo ora a vedere i dati sulla diffusione dei browser in Italia nel 2024, per capire se le multe e le decisioni dell’antitrust hanno effettivamente impedito la formazione di nuovi monopoli:

  • Google Chrome: 70,87%
  • Microsoft Edge: 10,4%
  • Mozilla Firefox: 7,96%
  • Apple Safari: 7,67%
  • Opera: 2,39%
  • Internet Explorer: 0,42% 

Come si vede, fatta eccezione per Safari per gli utenti Apple, il browser di Google domina il mercato con un impressionante 70%, seguito da Edge con un 10% e Firefox con un 8%.

Questi dati sono un esempio lampante di come le sentenze antitrust, anche se accompagnate da multe multimilionarie, non bastano per cambiare il mercato e le abitudini delle persone, neanche a distanza di quasi 25 anni!

E questo discorso vale per quasi tutti gli altri servizi online: app di messaggistica, navigatori, motori di ricerca, account di posta elettronica e così via.

Monopoli e sicurezza: un rischio sottovalutato

Come abbiamo accennato, c’è un aspetto che viene spesso sottovalutato quando si parla di oligopoli e monopoli Big Tech, e riguarda le ripercussioni a livello di sicurezza degli utenti.

La mancanza di alternative e la prigionia degli ecosistemi digitali non creano solo problemi a livello di esperienza di utilizzo, ma anche a livello di sicurezza informatica (e perfino fisica in certi casi).

Paradossalmente, quando pensiamo ai grandi nomi della tecnologia, la parola “sicurezza” salta subito fuori: navigazione sicura, aggiornamenti automatici, protezione dai malware… è anche grazie a questi ecosistemi chiusi e supercentralizzati se per anni molti utenti si sono sentiti (falsamente) protetti.

Ma la verità è che proprio questa concentrazione di servizi, dati e infrastrutture rende il sistema fragile a livello globale.

Basta guardare al passato: ogni volta che un gigante cade, trascina con sé milioni di account. Nel data breach di Facebook del 2019, sono rimasti esposti i dati di oltre 530 milioni di utenti: cifre da capogiro, impossibili da immaginare per un servizio più piccolo e frammentato.

E ancora, quando emerge una vulnerabilità di Android, la falla non riguarda un solo telefono, ma miliardi di dispositivi di decine di produttori diversi, tutti legati a Google. E se spunta un bug critico in Chrome? All’improvviso, metà del pianeta deve correre ad aggiornare il browser.

Concentrazione digitale e rischio sistemico

In teoria, i colossi giustificano questa chiusura con l’argomento della sicurezza integrata: “Tenete tutto dentro il nostro ecosistema, così possiamo controllare ogni minaccia.”

In pratica, però, questa narrativa diventa spesso un alibi per chiudere le porte a standard aperti, interoperabilità e concorrenza. Come hanno sottolineato gli autori di uno studio recente su questi argomenti: “una parte significativa delle resistenze da parte delle Big Tech è stata giustificata con motivi di sicurezza”.

La sicurezza è reale, certo, ma diventa anche la scusa perfetta per tenere stretto un potere che conviene a chi gestisce i dati e, ovviamente, i ricavi. E il risultato finale è il cosiddetto single point of failure: se uno solo di questi sistemi tentacolari cade, cade un pezzo intero di internet.

Per chi si occupa di sicurezza informatica, questo non è solo un problema di concorrenza, ma di resilienza: più l’ecosistema è distribuito, più la rete è capace di reggere a un attacco o un incidente tecnico. Più è concentrato, invece, più rischia di cadere come un castello di carte.

Ecco perché parlare di antitrust non è solo una questione economica che riguarda le startup tecnologiche, ma anche e soprattutto una questione di protezione concreta per tutti.

LEGGI ANCHE: Cos’è Vitruvian 1, il primo modello di AI made in Italy

Soluzioni e alternative ai monopoli tecnologici

A questo punto, quasi sicuramente vi starete chiedendo: “e quindi, che cosa possiamo fare?”. La risposta è che servono interventi su più livelli, ma non bisogna esagerare con le aspettative.

In particolare, è molto importante che l’antitrust continui a svolgere le proprie funzioni, richiamando l’attenzione del pubblico su questi argomenti e imponendo limiti e multe, ma servono anche:

  • Portabilità e interoperabilità: le piattaforme dovrebbero garantire agli utenti un modo facile ed efficace per cambiare servizio, passare ad altre aziende tecnologiche o integrarle tra loro. Inoltre, formati aperti e condivisione migliorerebbero anche la sicurezza dei sistemi, la loro trasparenza e la verificabilità.
  • Incentivi a usare alternative: non basta dire che esistono altri strumenti oltre a quelli di Google, bisogna dare un motivo alle persone per provarle, altrimenti con una motivazione bassa, poche informazioni e competenze, è naturale che gli utenti non vogliano sperimentare altri servizi.
  • Educazione digitale: alla fine, la cosa più importante è la consapevolezza. Sapere come funzionano gli algoritmi, i nostri processi mentali, perché scegliamo certe cose e che alternative ci sono sul mercato sono tutti fattori che possono pian piano influire sulla distribuzione delle quote di mercato e sulle posizioni di monopolio tecnologico.

Ma attenzione, anche con misure, leggi e principi antitrust, l’effetto potrebbe essere molto contenuto, perché il mercato è strutturato in modo tale da favorire naturalmente l’accentramento delle risorse e del potere.

Questo, purtroppo, è ancora più vero nel settore della tecnologia, dove le barriere all’entrata sono molto alte (non tutti possono iniziare a sperimentare con i computer quantistici).

3 cose che puoi fare subito per sfuggire ai monopoli digitali

In cosa si traduce a livello pratico tutto ciò che abbiamo detto fin qui? Vediamo 3 cose semplici ma efficaci che puoi iniziare a fare subito per combattere lo strapotere delle Big Tech:

1. Diversifica un programma o un servizio che usi ogni giorno

Se fino a oggi hai sempre fatto tutto con Google (ricerche, cloud, mappe, email), prova a scegliere almeno un servizio alternativo, ad esempio DuckDuckGo per le ricerche, ProtonMail per le mail o Nextcloud per i file. Non devi rivoluzionare tutto subito, ma intanto esci dalla bolla.

2. Usa la portabilità dei dati

Molti servizi (social, email, foto) offrono già degli strumenti per scaricare dati o fare backup completi. Prova a farlo anche tu, così avrai una copia autonoma se decidi di cambiare e, quantomeno, saprai come si fa. E se non sai da dove iniziare, parti da Google Takeout o dalle tue informazioni su Facebook.

3. Usa strumenti indipendenti per la privacy e la sicurezza

Antivirus, VPN, password manager… sceglili con criterio. Non ti accontentare delle misure di sicurezza integrate di Google e cerca una soluzione su misura per le tue necessità. È un piccolo investimento di tempo e denaro che può migliorare moltissimo la tua esperienza online. Se vuoi, ad esempio, puoi provare il nostro antivirus gratuito!

Come vedi, ci sono delle cose che puoi fare per uscire almeno in parte dalla sfera di controllo di Meta, Google e degli altri giganti tecnologici. Magari non risolveranno il problema alla radice, ma ti aiuteranno a essere più cosciente e, forse, a trovare nuovi strumenti più interessanti e adatti alle tue esigenze specifiche!

In questo articolo abbiamo parlato del nuovo processo antitrust negli Stati Uniti contro Google e Meta. Abbiamo visto perché è così difficile scalfire il potere di questi monopoli e quali sono i rischi di sicurezza informatica per gli utenti finali. Infine, abbiamo condiviso 3 cose semplici da fare subito per provare a svincolarti (almeno un po’) dalla morsa delle Big Tech, pur sapendo che il capitalismo tecnologico resta un nemico quasi invincibile.

E tu, usi qualche servizio o software che non appartiene a Google o Meta? Cosa ne pensi del dominio tecnologico di questi colossi? Faccelo sapere nei commenti!

CONTINUA A LEGGERE: Cosa puoi fare con una VPN: 13 usi pratici e interessanti

Buona navigazione (con un browser diverso da Chrome)!