Un rapporto demografico sui manifestanti del BLM è l’ennesima prova di come veniamo monitorati.

Ecco gli ingredienti di questa strana ricetta: un’azienda di data science(MobileWalla), vari broker di dati, le manifestazioni negli Stati Uniti del movimento BLM (Black Lives Matter) e gli smartphone dei manifestanti. Il risultato: MobileWalla ha reso pubblico un rapporto sui dati demografici di circa 17.000 partecipanti alle manifestazioni (in inglese), creato a partire dai dati grezzi comprati ai broker di dati e aggregati e interpretati grazie ad algoritmi informatici.

Detto in altre parole, grazie ai dati che vengono raccolti sui nostri smartphone, ci sono aziende che riescono a ricostruire profili di comportamento, demografici, di interesse e così via, che poi possono rivendere ad altre imprese. In questo caso, MobileWalla dichiara di aver generato il rapporto solo per “soddisfare la curiosità dei propri dipendenti”. Forse è stata anche questa un’iniziativa promozionale, e in questo caso ha avuto molto successo. Oppure l’azienda americana ha voluto davvero contribuire a sensibilizzare maggiormente la società sulla privacy dei dati personali.

Fatto sta che periodicamente ci troviamo di fronte a episodi come questo, che ci obbligano a farci alcune scomode domande: quanti dati condividiamo coscientemente o senza saperlo tramite gli smartphone? Chi li raccoglie e che cosa ci fa? A chi interessano i dati aggregati e processati? Tutto questo è legale? E soprattutto, cosa possiamo fare per proteggere di più la nostra privacy?

Dati personali, ovvero il nuovo petrolio

Il Financial Times ha definito le informazioni personali come il nuovo petrolio, per sottolineare il valore che hanno come merce di scambio in un mercato spesso invisibile agli occhi degli utenti finali. La nota testata giornalistica americana ha anche pubblicato online una specie di gioco con cui calcolare il valore approssimato dei propri dati personali.

La redazione di Linkiesta si è anche presa la briga di verificare la precisione di questo calcolatore confrontandone i risultati con le tariffe pubblicitarie di Facebook e sembra proprio che i valori mostrati siano realistici. In pratica, i dati di un utente di Internet valgono in media pochi centesimi, ma ovviamente il loro valore sta nella quantità: le aziende che acquistano database dai data broker comprano blocchi di migliaia, se non milioni di dati elaborati.

Perché comprare tanti dati?

Dipende da cosa ci si vuole fare, ma in generale, siccome parliamo di dati, il loro valore sta nella capacità di descrivere gruppi di persone o prevederne comportamenti e caratteristiche. Più dati si posseggono, più le stime saranno statisticamente precise.

Quindi, ad esempio, Google e Facebook raccolgono grandi quantità di dati proprietari (ovvero tramite la propria rete) per offrire agli inserzionisti una segmentazione accurata ed efficace. Altre aziende, ad esempio quelle del settore assicurativo, utilizzano i dati per prevedere il livello di rischio di assicurazioni sanitarie private, prestiti, mutui e così via.

Insomma, i dati servono alle grandi aziende per capire chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo e cosa cerchiamo. Con queste informazioni, il marketing digitale e quello diretto diventano potenti armi di persuasione, che riescono a tracciarci e raggiungerci nei momenti in cui è più probabile che prenderemo in considerazione il loro messaggio pubblicitario.

Chi raccoglie i dati e come?

Nel settore si utilizza l’espressione broker di dati, ovvero colui che compra e rivende dati. Queste aziende possono acquistarli da chi li raccoglie o farlo direttamente. Normalmente, il valore aggiunto di rivolgersi a un data broker è che i dati che si acquistano non sono grezzi, ma aggregati ed elaborati in modo da poter essere utilizzati immediatamente.

Di dati personali ne condividiamo ogni giorno in grande quantità: dai dati di registrazione su siti web, compagnie telefoniche, servizi Internet e così via ai check in nelle strutture alberghiere, dai programmi fedeltà delle grandi catene agli importi degli scontrini. Tuttavia, per tornare all’inizio del nostro articolo, il rapporto di MobileWalla è inquietante perché molti dati vengono comunicati dai nostri telefoni senza che neanche ce ne accorgiamo.

I dati inviati dagli smartphone e come proteggere la privacy

Mettiamo da parte le altre mille maniere in cui le aziende raccolgono dati su di noi (di cui abbiamo visto qualche esempio poco sopra). Come specialisti di privacy e cybersicurezza, vogliamo concentrarci sulle informazioni che vengono raccolte tramite i nostri telefoni cellulari:

  • Dati sulla posizione tramite la geolocalizzazione
  • Dati di navigazione tramite i cookie
  • Dati e file personali sul telefono mediante le autorizzazioni delle app

Di queste tre categorie principali, quella che più ci interessa è l’ultima, perché da un certo punto di vista è quella più complicata da controllare. Sì, perché nel fondo abbiamo comprato uno smartphone non solo per avere WhatsApp e Maps, ma anche per usare altre applicazioni utili o divertenti; purtroppo, molte app guadagnano proprio con la rivendita dei dati personali raccolti.

Tanto per fare un esempio, hai notato che ci sono app di fotoritocco con cui puoi modificare a piacimento le tue foto e che puoi scaricare gratuitamente? Non ti sembra strano che qualcuno si prenda la briga di crearle senza chiederti di pagare un prezzo? Ebbene, il prezzo di queste app è la pubblicità che visualizzi al loro interno e, soprattutto, i dati che condividi con lo sviluppatore e che questi rivende ad altre aziende. Di fatto, prima di accettare i termini e le condizioni di utilizzo di qualsiasi servizio, dovremmo sempre controllare che queste non includano la cessione dei nostri dati a terze parti.

Quando concediamo l’accesso ai nostri file o alla rubrica del telefono, le app scaricano sui propri server tutte le nostre informazioni, che poi vengono ripulite, elaborate e rivendute come abbiamo visto. Questo problema è talmente esteso che Apple ha dovuto proibire specificamente alcune di queste pratiche e addirittura rimuovere alcuni sviluppatori dal proprio app store.

Quindi, per proteggere la tua privacy ti consigliamo di:

  • Fare attenzione alle autorizzazioni delle app.
  • Leggere bene i termini e le condizioni di uso di app e siti web prima di registrarti.
  • Controllare sul telefono quali informazioni condividi.
  • Utilizzare una VPN leggera per navigare in modo anonimo.

Per concludere, vogliamo sottolineare che la raccolta e rivendita di dati si muove in un ambiente di semilegalità, a seconda del paese, anche se in generale è chiaro che mancano normative chiare ed esaustive in materia. In Europa siamo un po’ più protetti grazie al GDPR, ma in generale i nostri dati vengono raccolti e rivenduti tramite mille vie traverse che aggirano i controlli sulla privacy.

È importante essere consapevoli di questo fenomeno, innanzitutto per immunizzarci contro la comunicazione persuasiva di chi utilizza i nostri dati, ma anche per capire il valore delle nostre informazioni. A questo scopo, concludiamo con un dato piuttosto eclatante: uno dei maggiori broker di dati si chiama Acxiom, ha un fatturato annuo di 1,1 miliardi di dollari, un database di 700 milioni di persone e un portfolio di 7000 clienti.

Buona navigazione e buon controllo sui dati personali!

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